«Il teatro è cultura» ho sentito affermare dal sindaco della mia città ieri sera. Una frase, questa, che in genere viene declinata a seconda del contesto. Infatti possiamo dire che il cibo è cultura, che la moda è cultura ecc. Quindi guardiamo alla cultura come a un oggetto poliedrico, che ha tante facce. Ma di per sé che cos’è la cultura, che rapporto ha con le arti della scena e con le politiche amministrative? Mi chiedevo questo mentre il sindaco parlava anche perché ha anche aggiunto: «il teatro non deve esserci solo d’estate ma tutto l’anno». Allora forse vale la pena capire meglio il senso dell’affermazione che vorrei approfondire anche sulla scorta di una serie di articoli nei quali sto delineando il rapporto fra quest’arte e quella più recente del cinema con le piccole comunità.
Cultura come etimo derive dal participio passato cultus del verbo colere che significa coltivare. A sua volta quest’ultimo verbo deriva dal sanscrito calayami che ha due significati:
- muoversi in avanti, camminare;
- vivere anche nel senso di abitare.
La cultura è dunque ciò che coltiviamo, ciò che ci permette di progredire, di migliorare la vita laddove si vive, si abita. Nel caso del teatro e del cinema ciò avviene attraverso lo sguardo su alcune vicende, su dei fatti, delle storie, ecc. L’azione del vedere dà un senso di coscienza rispetto all’oggetto che si guarda. Allora potremmo dire che il teatro è cultura nel momento in cui ci aiuta a leggere certi modi di agire, di pensare, di comportarsi. È il gioco del “facciamo finta che” dei bambini. È grazie ad esso che si elaborano nuovi paradigmi, imparando e divertendosi al tempo stesso.
C’è una grande componente biologica in questo. Perché c’è un seme che viene affidato alla buona terra, innaffiato e curato finché nasce la pianta che a sua volta riceve delle cure che l’aiutano a produrre i suoi frutti. Chi fa cultura è un giardiniere, un contadino di nuova civiltà. E alle volte occorre arare anche il terreno. Faccio notare l’affinità tra calayami e calamaio che l’indovinello veronese paragona a un aratro. Chi scrive sceneggiature per il cinema e copioni per il teatro smuove dunque il terreno, gli dà aria, ossigeno: la prima e fondamentale operazione per ogni azione successiva.
Se la scena dunque richiede dei coltivatori è cosa buona e giusta che questi ultimi lavorino alle loro produzioni, siano agevolati in questo visto il loro ruolo di innovatori. Per esempio si può coniugare teatro e turismo in un binomio produttivo perenne. Oppure si può fare in modo che le arti della scena risolvano alcune questioni sociali dei piccoli centri abitati. Oppure ancora si possono usare i laboratori teatrali come soluzione creativa ai problemi della città.
E per te in che senso il teatro è cultura e come si può mettere in pratica questa relazione? Scrivilo nei commenti. Grazie.