A piccoli passi e con il suo bastone in una mano, Luigi conduceva con l’altra Gigia, la scimmietta che da due anni a questa parte viveva con lui, dopo che era stata trovata moribonda in un fossato, saltata fuori forse da qualche circo di passaggio. Era piuttosto irrequieta e non poteva tenerla con sé in casa. Nella prima settimana aveva rotto il televisore, un candelabro, piatti e bicchieri. Così l’aveva sistemata in una grotta sul monte dietro casa, anche se faceva un po’ fatica a raggiungerla.
Andava a trovarla ogni mattina e dopo andavano insieme a fare colazione al bar. Latte bianco e cornetto per lui, frutta secca e foglie che la barista le faceva sempre trovare. Un po’ anche lei e gli avventori l’avevano adottata. E al principio dell’estate Luigi voleva evitare di partire per le vacanze con il figlio e la nuora che però lo costrinsero. Di portarsi la scimmia per tutto il mese di vacanza neanche a parlarne. C’erano sì degli amici al bar pronti a occuparsene ma lui sapeva che ne avrebbe sentito la mancanza ed era certo che anche lei avrebbe sofferto e che, non volesse Dio, si sarebbe agitata e forse sarebbe scappata.
La prima settimana filò tutto liscio. Luigi chiamava ogni mattina la famiglia che se ne stava occupando. Gigia era abbastanza tranquilla. Mangiava, giocava con il bambino e si lasciava accudire. Poi pian piano cominciò ad agitarsi finché un giorno non la ritrovarono più nella grotta. Aveva sfondato la retina con cui di notte era recintata e non la ritrovarono per giorni. Luigi era preoccupatissimo e quella vacanza per lui stava diventando un inferno. La ritrovarono dopo una settimana malconcia, con il pelo rovinato e ferita alla spalla, forse per il morso di un cane. La tennero in una clinica veterinaria. Alla fine del ricovero si presentò la polizia che la prese in custodia.
Luigi alla fine di quell’estate sembrava l’ombra di se stesso. Senza più Gigia aveva cambiato del tutto d’umore. Sempre silenzioso, spesso si sedeva da solo su una panchina e fissava un punto o si chinava a guardare il pavimento per ore. Finché non si abbandonò su quella panchina. Arrivò il 118 e in ospedale poterono solo constatare come il suo vecchio cuore, malato da tempo, gli lasciava ben poco da vivere. Gli permisero di tornare a casa, anche se dal letto non riusciva a rialzarsi.
Il figlio Lorenzo che lo conosceva bene sapeva che Gigia gli mancava tanto. Lui riuscì a rintracciarla e a fare in modo che gli fosse permesso per un’ora al giorno di portarla dal padre morente. Luigi a poco a poco riuscì a rialzarsi e persino a stare in piedi e camminare. Visse un altro anno ancora. Il giorno in cui morì, Gigia gli era accanto e lanciava continui sguardi a Lorenzo.
P. S.: questa storia è stata scritta con l’ausilio di suggerimenti casuali pescati sul sito di Roberto Sconocchini.