Che cosa lega la città di Brindisi, in Puglia, con Giovanni Boccaccio, scrittore e poeta autore del Decameron, e con la Sindone di Torino, il lenzuolo di lino che secondo la tradizione avrebbe avvolto Gesù dopo la sepoltura e che ne conserverebbe l’effige? Questo non è un quiz estivo, come tanti, e il legame è profondo, pieno di scoperte e che ci può portare nel cuore di una storia avvincente, quanto quasi ignota. È una di quelle vicende sulle quali non solo passa l’oblio del tempo ma che certe mani provano a cancellare ma che tuttavia emergono grazie a tracce molto piccole, quasi micro. A ben guardarle, però, si scopre che c’è un mondo a proposito di esse.
In questo mio post accennerò ai tratti principali di questo brulicare di gesta di cavalieri medievali, committenze artistiche, opere letterarie che prima vengono pubblicate e poi cancellate. Ma andiamo con ordine. Il tutto comincia con Santa Maria del Casale di Brindisi. Il Casale è un quartiere residenziale di Brindisi, una sua “città-giardino”, che si raggiunge attraverso la strada per l’aeroporto della città. Lì, dal XIII secolo, vi è una chiesa eretta, si dice, sulla cappella che custodiva un’icona mariana presso la quale avrebbe pregato Francesco d’Assisi di ritorno dalla Terra Santa. I principi angioini di Taranto concessero molti benefici a questo santuario in cambio della celebrazione di messe a loro suffragio. Al suo interno si trovano una serie di stemmi e altri supporti armeggianti tanto che la chiesa è vista come un vero e proprio “museo d’armi”. Lo apprendo da Marcello Semeraro, ricercatore indipendente, esperto di araldica. In particolare ha dedicato uno studio a tali stemmi pubblicato nel 2018 nella Rivista di Storia della Chiesa in Italia. A colpirlo sono stati soprattutto degli elmi cimati, sovrastati, cioè, da corna, un’iconografia che riconduce ai cavalieri medievali. Ebbene è risultato che questi blasoni, non in perfette condizioni, riconducono ad una committenza da parte di Goffredo I di Charny, uno dei più celebri cavalieri del XIV secolo che è passato alla storia per essere stato il primo possessore della Sindone. Non si sa bene come ne sia venuto in possesso. Forse gli fu donata dai cavalieri templari durante una delle spedizioni della Crociata di Smirne. È probabile che prima di partire passando per Brindisi e qui soggiornando per i preparativi abbia espresso la propria devozione sia a Maria sia a San Nicola, come attesterebbero i due caratteri “M” ed “N” fatti dipingere su due stemmi.
Di ritorno dalla crociata porta con sé la Sindone e conosce, tra gli altri, Giovanni Boccaccio. Ne parla Franco Cardini in un suo articolo il quale riferisce di una scoperta di un giovane filologo. Questi ha rinvenuto la versione originale dell’ultima novella della decima giornata del Decameron, quella che racconta di Griselda. Noi conosciamo la storia di una contadina sposata dal nobile Gualtieri che ha con lei due figli. In essa si narra di come a un certo punto Gualtieri avesse messo sotto una sorta di “prova di pazienza” la consorte, prima facendole credere che aveva ammazzato i figli, poi ripudiandola e mettendola a servizio di un’altra donna con cui sceglie di stare. Vedendo l’estrema devozione di Griselda allora Gualtieri fa tornare i figli che in realtà aveva nascosto e torna con Griselda. Questo è il riassunto di ciò che oggi troviamo nel Decameron. Cardini racconta invece una novella che nella sua seconda parte è diversa. Gualtieri passa le sue notti con le cortigiane. Subisce le pressioni della famiglia per ripudiare la contadinotta che non è di sangue blu. A un certo punto arriva a corte Goffredo di Charny. Gualteri decide si accoglierlo e di offrirgli un “servizio completo”: gli dà per la notte sua moglie. In questo modo le tende una trappola: se avesse accettato lui avrebbe potuto cacciare la consorte come adultera; se non avesse accettato avrebbe potuto fare altrettanto etichettandola come disubbidente e non servizievole. Qui però arriva il colpo di scena. Perché i due si innamorano e Goffredo dopo una splendida notte d’amore al mattino porta con sé Griselda lasciando con tanto di naso 👃 Gualtieri.
Di Griselda si sono occupati sia Chaucer, l’autore dei Canterbury Tales, e prima di lui Francesco Petrarca. Successivamente anche Goldoni ci scrive una tragicommedia in versi. Di Goffredo di Charny però non c’è traccia, visto che Boccaccio lo aveva cassato. Oggi però possiamo tornare a raccontare di questo personaggio e della sua committenza brindisina, che risponde ad un modo di fare proprio dell’aristocrazia cavalleresca e feudale europea. Una sorta di linguaggio in codice non già rivolto ai fedeli, per i quali vi erano gli affreschi, ma ai membri di altre famiglie e a quei pochi letterati che potevano coglierne il senso. Gli stemmi di Brindisi e quelli successivi con l’esposizione della Sindone raccontano di un’impresa di un uomo nel Medioevo, distintosi in fatto d’armi, che dichiara al mondo allora conosciuto, e in parte anche a noi per fortuna, ciò che ha compiuto grazie alla sua fede, alla sua devozione e alle sue virtù cavalleresche. Oggi noi tornando a guardarli, a decifrarli, a interpretarli ricostruiamo anche tentativi ed errori, ai quali si cerca di rimediare. Boccaccio, infatti, mise da parte la prima versione della novella forse perché vicina all’eresia dei Catari.
Io mi sono appena avvicinato a questa storia e inizio a vederne le linee che l’attraversano e che si intersecano nelle due figure: quella più nota di Boccaccio e quella meno nota di un cavaliere che per la fedeltà al suo sovrano morì nella battaglia di Poitiers nel 1356 difendendo il vessillo del re. Sto pensando a un progetto per raccontarla e cerco tutte le risorse che mi potrebbero essere d’aiuto. Se ne hai qualcuna o se sai darmi dei riferimenti, contattami. Grazie.