Quando un bambino sta giocando a fare l’astronauta o il pilota di formula uno o il supereroe in parte imita ciò che ha già visto in qualche cartone animato o film e in parte immagina. Non si chiede in che modo si faccia ma si mette subito all’azione, si diverte non appena scatta il meccanismo del “come se”. Dopo aver visto che cos’è la recitazione e quanti tipi ne esistono, a cosa serve, cosa si studia in questo settore, accenneremo ora a come recitare.
L’imitazione e l’immaginazione sono dunque le due chiavi del gioco grazie alle quali i bambini definiscono una figura e la sviluppano. In questo modo utilizzano qualcosa di non dissimile alle “circostanze date” di cui parla Stanivlaskij ne Il lavoro dell’attore su se stesso. In scena qualunque azione, anche la più banale, ha uno scopo. C’è sempre un perché dietro. Perché il personaggio si siede? Perché guarda in una direzione piuttosto che in un’altra? Perché pronuncia quella parola e compie quel gesto? A me è stato insegnato che prima ancora di leggere ad alta voce qualsiasi battuta del copione va fatto un lavoro di ricostruzione di tutta la vita del personaggio. E poi va capito il suo obiettivo nel dramma che sta vivendo e i suoi sotto-obiettivi scena per scena.
Ma prima ancora di fare questo è necessario chiedersi quale obiettivo ho io in questo momento della mia vita. Quali urgenze ho? Quali bisogni primari? Tale obiettivo deve essere basilare e semplice. Facciamo qualche esempio:
- trovare l’amore;
- restare vivo;
- ricevere dei riconoscimenti;
- avere dei bambini;
- ritornare con la mia ex;
- essere amati;
- ottenere potere.
È questa la premessa che s’impara se ci si imbatte ne Il potere dell’attore di Ivana Chubbuck, una delle insegnanti di recitazione più note a Los Angeles. Il cuore della recitazione sta qui. Prima ancora di conoscere il proprio personaggio. Capire che cosa ci rende vivi e ci fa “funzionare” ci apre le porte del proprio ruolo.
Dopo questo e altri aspetti da chiarire su personaggio e scena possiamo pensare al cosiddetto “metodo delle azioni fisiche” che si usa per creare una vita realistica sulla scena, anzi per dirla tutta più reale del reale. Ma qui va chiarito un equivoco in cui cadono purtroppo tanti insegnanti di recitazione, coach, attori, e cultori della materia. Il termine attore non deriva da agire come si crede ma dal latino agere che ha un significato diverso perché vuol dire condurre ma anche perorare, come era solito dire Carmelo Bene. L’accento non è quindi sul linguaggio ma sul tono, l’intensità, il ritmo, in una parola sulla musicalità (da non confondere con la musica) che sta dietro le parole.
La migliore tecnica a questo punto è quella che non si vede, quella di cui ci si libera ad un certo punto. L’attore diventa macchina attoriale, smette di recitare il testo, diviene il testo stesso. Il corpo si disarticola e l’attore esce da se stesso. Un po’ tutto questo ci avvicina all’invasamento dionisiaco della Grecia antica, alle baccanti. E dall’altro lato ci porta anche verso il principio della dilatazione, dell’amplificazione dell’attore che è alla base del lavoro di Eugenio Barba. È uno stato di grazia che ci riporta laddove abbiamo cominciato: il gioco dei bambini. L’adulto ha una serie di sovrastrutture e colonizzazioni che gli rendono la vita molto difficile. Ma si può imparare con un training di un certo tipo e costante.
Se abiti dalle parti di Oria (Br) sta per partire un corso di recitazione su queste basi che terrò io. Vai sul sito della scuola Palco e chiedi maggiori info. Puoi anche scrivere via WhatsApp al 320 8709942. Inoltre se vuoi scrivi nei comenti se c’è qualche aspetto che vuoi che io approfondisca nei prossimi articoli. Sarò felice di farlo.