Cosa hanno in comune un reduce del Vietnam con una videocamera, un tassista solitario e un clown emarginato? In apparenza nulla, eppure Hi, Mom!, Taxi Driver e Joker svelano un sorprendente filo rosso tematico. Scoprire Hi, Mom!, una chicca del 1970 di Brian De Palma, è stato illuminante per me: un film poco conosciuto ma attuale in modo strarordinario, che esplora alienazione, voyeurismo e critica sociale. Questa rivelazione mi ha portato a collegarlo ai due capolavori successivi, ispirandomi a scrivere questo articolo che esplora la trilogia tematica che li lega.
Una scoperta illuminante
Scoprire Hi, Mom! è stato come svelare un tesoro nascosto che preannuncia temi sviluppati anni dopo in Taxi Driver. Diretto da Brian De Palma nel 1970, il film racconta la storia di Jon Rubin, interpretato da Robert De Niro. Jon, reduce del Vietnam, torna a New York con ambizioni artistiche e decide di filmare di nascosto i vicini, trasformando la loro intimità in uno spettacolo voyeuristico. Questa trama iniziale evolve fino a coinvolgerlo in un teatro sperimentale che denuncia il razzismo e le tensioni sociali, portandolo verso atti sovversivi.
Jon Rubin, con la sua alienazione, il suo disagio e il desiderio di lasciare un segno, sembra un precursore diretto di Travis Bickle, il protagonista di Taxi Driver. Entrambi sono uomini soli, disconnessi dal mondo, che canalizzano il loro malessere in modi estremi e violenti. In Jon si intravede l’embrione del Travis cupo e disturbato che De Niro porterà sullo schermo sei anni dopo.
Taxi Driver – La notte e l’eredità di Hi, Mom!
Se Hi, Mom! esplora l’alienazione attraverso una lente satirica, Taxi Driver trasforma quel disagio in una spirale psicologica più cupa e intima. Diretto da Martin Scorsese nel 1976, il film segue Travis Bickle, un tassista reduce del Vietnam che vaga per una New York notturna, decadente e violenta, in cerca di significato e redenzione.
La regia di Scorsese abbandona la sperimentazione frammentata di De Palma per abbracciare uno stile più immersivo, con riprese lente e malinconiche che seguono Travis nei suoi viaggi notturni. La notte, centrale nella narrazione, diventa lo specchio della sua alienazione: un luogo oscuro e ostile, dove il confine tra realtà e paranoia si dissolve.
Un dettaglio interessante è che una scena iconica di questo film riecheggia il film precedente. In quest’ultimo, Jon Rubin improvvisa un provino da poliziotto, mostrando una recitazione disturbante. Nel film successivo, questa idea viene adattata nella celebre sequenza dello specchio, dove Travis, pistola alla mano, prova i suoi dialoghi con un nemico immaginario: «You talkin’ to me?». Entrambi i momenti rivelano uomini isolati che usano la performance per cercare un’identità e prepararsi a un confronto con un mondo che sentono ostile.
Joker – La maschera finale dell’alienazione
Con Joker (2019), Todd Phillips chiude in modo ideale il cerchio aperto dalle due opere precedenti. Se Jon Rubin osserva il mondo e Travis Bickle lo attraversa, Arthur Fleck, interpretato da Joaquin Phoenix, lo assorbe fino a trasformarsi del tutto. Arthur è un clown fallito, emarginato e tormentato da problemi mentali, che vive in una Gotham City brutale, specchio della New York di Travis.
Rispetto ai suoi predecessori, quest’ultima pellicola utilizza un linguaggio visivo più stilizzato, con inquadrature che mescolano intimità e grandiosità teatrale. La città è centrale come in Taxi Driver, ma qui il focus si sposta dall’oscurità notturna al contrasto tra i colori vivaci del clown e l’oppressione dell’ambiente. Arthur, in modo diverso da Jon e Travis, non osserva né sfida la società: la sua alienazione si trasforma in una totale fusione con il caos.
Un collegamento diretto tra i tre film è il tema della performance. Come Jon usa la videocamera e Travis il suo monologo davanti allo specchio, Arthur trova la sua identità nella maschera del Joker, trasformando la sua sofferenza in uno spettacolo che scuote la società.
Un altro dettaglio importante è la presenza di Robert De Niro, che qui interpreta Murray Franklin, simbolo del sistema che Arthur sovverte. De Niro, da alienato negli altri due film, diventa ora il bersaglio del nuovo alienato, chiudendo un cerchio simbolico.
Con Joker, l’alienazione si evolve in una rivoluzione, portando la tematica a un livello collettivo, dove il caos personale diventa il detonatore di un disordine sociale più ampio.
Le maschere degli attori
Uno degli elementi che rende i tre lungometraggi così affascinanti è l’incredibile lavoro degli attori, capaci di incarnare alienazione, disagio e trasformazione. Ognuno dei protagonisti attraversa una metamorfosi, tanto interiore quanto esteriore, che viene rappresentata in modo magistrale attraverso l’arte dell’interpretazione.
Robert De Niro: Jon Rubin e Travis Bickle
De Niro, presente nei primi due lavori, dimostra una versatilità impressionante nel passare dal cinismo giocoso di Jon Rubin alla furia repressa di Travis Bickle. In Hi, Mom!, Jon è un osservatore che gioca con le maschere, cambiando identità per adattarsi ai contesti. De Niro riesce a dare profondità a un personaggio che sembra sempre a metà tra ironia e disperazione. In Taxi Driver, invece, la trasformazione è più tragica: Travis è un uomo disconnesso che costruisce una maschera di forza e controllo, portata all’estremo nella celebre scena davanti allo specchio.
Joaquin Phoenix: Arthur Fleck/Joker
Joaquin Phoenix, poi, porta la metamorfosi a un livello ancora più fisico. La sua interpretazione è un viaggio nell’abisso: dalla fragilità iniziale al completo abbandono in una nuova identità. Phoenix utilizza il suo corpo in modo straordinario, rendendo visibili i tormenti interiori di Arthur attraverso movimenti sgraziati, risate involontarie e una danza liberatoria. La maschera del Joker diventa il simbolo di una trasformazione totale, dove la sofferenza personale si fonde con un desiderio di affermazione.
Maschere e trasformazioni: una riflessione
In tutti e tre i film, le maschere non sono solo simboliche, ma veri strumenti narrativi. Jon usa il suo ruolo di regista per osservare senza essere visto. Travis si costruisce un’immagine di giustiziere per dare un senso alla sua vita. Arthur abbraccia la maschera del Joker come l’unico modo per esprimere la sua identità. Questi attori trasformano il concetto di maschera in qualcosa di palpabile, rendendo visibile il conflitto interiore dei loro personaggi.
L’abilità di De Niro e Phoenix di immergersi in queste trasformazioni è ciò che rende i tre film così potenti. Ogni interpretazione diventa un’esplorazione della condizione umana, offrendoci uno specchio delle nostre stesse maschere e fragilità.
Accetti la sfida?
Questi tre film non sono solo opere cinematografiche straordinarie, ma vere e proprie lenti che ci spingono a riflettere su chi siamo e sulle maschere che indossiamo. Jon Rubin, Travis Bickle e Arthur Fleck, con le loro vite tormentate e le loro trasformazioni, ci invitano a esplorare le nostre fragilità, il nostro senso di isolamento e il bisogno di essere visti. Ma ora è il tuo momento di metterti in gioco.
La sfida per te
Scegli una scena o un personaggio che ti ha colpito in uno di questi film. Forse è Jon che osserva il mondo attraverso una videocamera, Travis che parla al suo riflesso nello specchio o Arthur che abbraccia la sua nuova identità. Pensa a cosa ti ha fatto sentire: ti sei mai trovato a indossare una maschera per adattarti? Hai mai avuto la sensazione di incomprensione o emarginazione?
Cosa fare
- Rifletti su cosa ti ha colpito di questi film e su come si collega alla tua esperienza personale.
- Condividi la tua storia su Facebook con l’hashtag #LaMiaMaschera.
- Taggami nella tua riflessione: Giuseppe Vitale Attore.
Perché farlo?
Perché non è solo un esercizio creativo: è un modo per connetterci, condividere e dialogare su temi universali come l’identità, l’alienazione e la trasformazione. Voglio leggere la tua storia, commentarla e scoprire insieme nuove prospettive che questi film ci offrono.
Accetta la sfida e facciamo di questa conversazione qualcosa di autentico e profondo. Ti aspetto nei commenti o nei tuoi post! 😉