«Ma tu che vuo’ fa’, l’attore o er filosofo? Te devi decide Peppino mio perché da mo’ che nun sei più un pischello!». Mi chiamo Giuseppe, sono del 1974 e in effetti non mi sono mai deciso tra queste due figure, fra le quali oscilla tutta la mia esistenza. Spesso mi sono sembrati due poli opposti e inconciliabili. Il senso comune, tra l’altro, non vede di buon occhio un attore che fa er filosofo e un filosofo che prova a fa’ l’attore. L’uno scoccia. L’artro nun è bono!
Ma le cose stanno davvero così? Io rischiavo di impazzirci dietro a sta’ storia, stavo a diventare schizofrenico, peggio di Dr. Jekyll e Mr. Hyde! Pensavo di perdermi a un certo punto e di non ritrovarmi mai più. E di andare così dritto dritto nell’inferno per me: l’anonimato, quel luogo dove le nebbie prevalgono, dove non si sa più chi sei, cosa fai, da dove vieni. Ecco, rispunta il filosofo… È più forte di me!
Poi è arrivata la Vigilia dell’Epifania del 2020, la Teofania, una delle più belle rivelazioni nella mia vita, una vera e propria illuminazione che ha scatenato una ridda di pensieri, una danza furiosa ma bella in cui la mia anima si è gettata come presa dal furore dionisiaco. Perché ho scoperto che in realtà posso, anzi devo fa’ tutti e due sti mestieri, insieme! E ho capito molte, molte cose a grande vantaggio di artisti, teatranti, filosofi, scrittori, lettori, poeti e spettatori. Ma annamo pe’ gradi! Cominciamo da questa citazione di Italo Calvino:
“Forse ogni filosofo alberga in sé un attore che recita la propria parte senza che il primo vi possa intervenire; forse ogni filosofia, ogni dottrina contiene un canovaccio di commedia che non si sa bene dove cominci e finisca”.
È ciò che Italo Calvino scrive a proposito di Giammaria Ortes in Perché leggere i classici. Ogni filosofo è dunque attore. Ogni discorso umano è finzione perché nessuno può decidere se è sostenuto dalla verità o meno. Ortes ammira Galileo, del quale ho già parlato per i suoi interessi teatrali, che mette al centro del suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo un personaggio come Salviati che dichiara di recitare la parte del copernicano. Uno stratagemma, si badi, non solo dettato dall’esigenza di evitare la Santa Inquisizione, ma figlio di un tempo che è teatrale per eccellenza. La dissezione dei cadaveri non a caso avveniva, per esempio, nei Teatri Anatomici. E che cos’è l’Anatomia se non una pratica intimamente teatrale? E tutta la ritualità fra cinquecento e seicento con candele e persino con l’esecuzione di musiche dal vivo durante l’apertura e lo studio interno dei cadaveri rafforza questo rapporto.
Quando Shakespeare scrive che tutto il mondo è palcoscenico aveva ben presente questo genere di rappresentazioni in cui gli organi, i muscoli, i nervi, le ossa, le budella diventano drammaturgia, racconto, canovaccio. Lo scienziato e i suoi accoliti sono la compagnia teatrale che tiene lo spettacolo. Nel caso di Galileo, il suo trattato stesso, il Sidereus Nuncius, è un annuncio al mondo 🌏, è un atto teatrale per antonomasia e porta in sé il legame con la letteratura biblica di profeti, annunciatori e arriva persino a Nazareth dove Maria riceve la notizia del suo concepimento dall’arcangelo Gabriele. Tra il padre della scienza, insomma, e i guitti de La Smorfia la distanza si fa molto breve. E qui ritorna il maggior drammaturgo inglese già citato prima quando mette in bocca a Mercuzio, in Romeo e Giulietta, una battuta che è un’intera enciclopedia:
Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatte le stelle.
La vita è mistero indicibile per definizione. Noi da attori-filosofi e da filosofi-attori diciamo qualcosa ma già quel dire è perdere, è già riduzione, convenzione finché si vuole ma che diventa oblio, che torna al paese di provenienza. Il “detto” diventa quindi la traccia cadaverica del discorso. Per questo il teatro diventa possibile come Phoné, come regno di ciò che è detto, che non si dice, di Carmelo Bene. Siamo di fronte non a musica che viene eseguita seguendo uno spartito ma musicalità prima dell’epos di Euripide e Socrate. Torniamo così al bambino 🧒 ancora libero dall’ “Io”. Un dire che si fa depensamento, che è una forma di meditazione, quindi di ricongiungimento, di riconnessione al mistero, anzi di scoperta in fin dei conti, se mai ci si stacca da esso. È la negazione del Male e l’affermazione del Bene. Il depensamento è la cretineria ignorante di Giuseppe da Copertino. Quando crediamo di dire in realtà siamo detti. Il soggetto non è mai attivo ma passivo.
E c’è di più. Siamo oltre la distinzione tra soggetto e oggetto. “Il poeta” scrive Carmelo in Sono apparso alla madonna ma vale anche per il filosofo, “è necessariamente attore, come Jekyll è Hyde (il suo nascondersi) e non uno dei due un travestimento dell’altro a turno. Chi sulla scena non è poeta non è attore”
Mi dispiace per i filosofi che vogliono cogliere il vero con la ragione. Qui abbiamo superato la mediazione. Siamo nell’immediatezza dell’attore-improvvisatore e del filosofo-attore. Siamo a Immanuel Kant non già che passeggia sempre alla stessa ora del giorno ma che è passeggiato a quell’ora e come tale è, volente o nolente, sulla scena del mondo come lo erano i peripatetici. Il piede ha le ali di Mercurio, è annuncio di per sé, è racconto, è scena, è “detto non-detto”.
Insomma, non riesco proprio ad abbandonarla l’amata filosofia del liceo, dell’università, delle letture da adulto. Perché mi permette di svelare mondi, di abbattere muri e di aprire quegli spazi di libertà che danno respiro a me e al mondo. Soprattutto quando la filosofia diventa intuizione sottile e quindi si avvicina alla spiritualità orientale dello Zen, del Buddhismo 🕉 e del Taoismo. Correnti queste ultime che a loro volta sono vicine alla filosofia di Talete, come ci rivelò nel 1975 Fritjof Capra ne Il Tao della fisica. Ora se consideriamo che l’intuizione è anche alla base della scoperta scientifica, capiamo come l’illuminazione decifra il codice con il quale è fatto il mondo. E quando la parola è detta modifica questo linguaggio, l’informazione fondamentale, un po’ come, ad esempio, fanno coloro che modificano il DNA per curare una malattia.
Del resto in questo essere in bilico tra recitazione e filosofia non sono mica il solo. E no eh, ci sono fior fiori di attori come:
- Alan Watts: era un attore britannico che ha scritto libri sulla filosofia orientale e sulla spiritualità. Ha scritto numerosi libri su Buddhismo e Taoismo, e ha fatto anche molte conferenze e seminari su questi argomenti. Ha cercato di rendere accessibili i principi filosofi orientali al pubblico occidentale.
- A.C. Grayling: è un attore e scrittore inglese che ha insegnato filosofia all’Università di Oxford e ha scritto numerosi libri di filosofia. È stato un sostenitore della filosofia razionale e ha scritto su argomenti come la morale, la politica e la religione.
- Vincent Cassel: è un attore francese che ha studiato filosofia all’Università Sorbona di Parigi. Ha espresso il suo interesse per la filosofia in diverse interviste e ha dichiarato di essere stato influenzato dalla filosofia nella sua carriera di attore.
- Ernie Hudson: è un attore americano che ha frequentato un corso di filosofia e ha espresso il suo interesse per la filosofia in diverse interviste. Ha dichiarato di essere stato influenzato dalla filosofia nella sua carriera di attore e di utilizzarla per comprendere meglio i personaggi che interpreta.
- Marlon Brando: è stato un attore americano che ha espresso un interesse per la filosofia orientale e ha studiato il buddhismo. Ha dichiarato di essere stato influenzato dalla filosofia orientale nella sua carriera di attore e di utilizzarla per comprendere meglio se stesso e i personaggi che interpreta.
Ma non finisce qui. Perché c’è anche il rovescio della medaglia 🥉 e cioè i filosofi-attori, come ad esempio:
- Simone Weil, una filosofa francese che ha scritto sull’arte dell’attore e che ha anche recitato in teatro.
- Friedrich Nietzsche, un filosofo tedesco che ha scritto sull’arte dell’attore e che ha anche recitato in teatro.
- Jean-Paul Sartre, un filosofo francese, scrittore e attore, ha scritto sull’arte dell’attore e ha anche recitato in teatro, considerando il teatro un’espressione artistica importante per la filosofia esistenzialista.
- Spyridon Marinatos, un archeologo e filosofo greco, ha scritto sull’arte dell’attore e ha anche recitato in teatro.
- Roger Scruton, un filosofo inglese, scrittore e attore, ha scritto sull’arte dell’attore e ha anche recitato in teatro.
In generale, queste opere utilizzano la rappresentazione di personaggi attori o registi per esplorare questioni filosofiche come l’identità, la verità, la morte e la finzione, e come queste questioni possono essere applicate alla vita reale degli attori e dei registi. Inoltre, alcune opere teatrali e film esplorano anche come la filosofia può essere utilizzata per comprendere l’arte dell’attore e la regia teatrale, e come l’arte dell’attore e la regia teatrale possono essere utilizzate per creare un’esperienza critica per il pubblico.
A te è mai capitato di incontrare una di queste due ✌ figure e cioè un attore filosofo o viceversa? Che impressione ti ha fatto? O vorresti fare esperienze di questo tipo? Oppure ancora vorresti approfondire un argomento? Lascia qui il tuo commento, sarò lieto di rispondere il prima possibile e di tornarci su con un nuovo articolo magari. Grazie!