
Giuda Iscariota: il nome stesso è un marchio d’infamia. Da duemila anni è il simbolo del tradimento, l’uomo che ha venduto il Maestro per trenta denari, l’ombra scura della Passione di Cristo. Ma chi era davvero? E se la sua storia fosse più complessa di quanto ci abbiano sempre raccontato?
La genesi di un monologo dimenticato
Questo monologo nasce da una domanda: e se Giuda non fosse stato soltanto un traditore? Se fosse stato un uomo in lotta con sé stesso, con la sua fede, con il mondo che lo aveva forgiato? Se il suo gesto fosse stato mosso non dall’avidità, ma dal desiderio disperato di forzare il destino?
In questo monologo, Giuda non è un’ombra bidimensionale. È un uomo di carne e sangue, nato tra la polvere e il sole cocente di un villaggio dimenticato. Un uomo cresciuto nella severità, in un mondo dove fidarsi significava essere deboli. Un uomo che ha visto in Gesù la speranza, ma che non ha mai compreso davvero la sua logica di amore e sacrificio.
Il monologo di Giuda: il fico secco
(Silenzio. Un respiro pesante. Una risata amara)
Mi guardi e pensi di sapere chi sono.
Sai già cosa dire di me, vero? Lo hai sentito ripetere mille volte. Una storia semplice, chiara, definitiva.
Ma chi te l’ha raccontata?
Ti hanno detto che ho venduto. Che ho preso il denaro. Che ho condannato un uomo.
Ti hanno detto il mio nome. Ma non chi ero.
Io sono nato nella polvere. In un villaggio dove il sole brucia la terra e gli uomini lavorano con la testa bassa, con la schiena curva come le radici di un ulivo antico. Mio padre diceva che il mondo appartiene a chi lo prende. A chi non abbassa lo sguardo. A chi non si fida.
Aveva ragione. Aveva torto.
Lo capisci quando è troppo tardi.
Da bambino ho provato a dimostrare il mio valore. A essere abbastanza. Per lui. Per la mia gente. Per Dio. Mi hanno insegnato che un uomo è il prezzo che riesce a strappare al mercato, che la vita è un baratto, che chi lascia la sua moneta in mano agli altri finisce scalzo per la strada.
E poi è arrivato lui.
Non era come gli altri. Non parlava con la voce dei sacerdoti, gonfia d’incenso e di regole. Non gridava come gli zeloti, con le loro lame nascoste tra le vesti. Non prometteva troni, non cercava spade. Eppure la gente lo seguiva. Eppure, quando parlava, qualcosa dentro di me si muoveva, come una moneta lanciata in aria prima di cadere.
Lo ascoltavo e la mia mente diceva no, ma il mio cuore diceva sì.
Lo amavo. Ma non lo capivo.
Diceva che il suo regno non era di questo mondo. Che chi perde troverà, che chi cade sarà rialzato. Diceva di porgere l’altra guancia. Io volevo credergli. Ho provato. Ho sperato. Ma cosa ne sapeva lui? Lui, il carpentiere. Lui, che parlava di gigli nei campi e uccelli nel cielo a un uomo che ha visto più debiti che fiori, più schiavi che ali.
E quando siamo arrivati a Gerusalemme, ho visto che non avrebbe fatto nulla. Nessuna rivoluzione. Nessun esercito. Nessun segno di potenza.
Allora ho pensato di aiutarlo. Di metterlo davanti alla scelta.
Se lui era davvero il Messia, avrebbe dovuto dimostrarlo. Gli ho dato l’occasione. Gli ho dato la spinta.
E lui non ha fatto nulla.
L’ho visto stare in silenzio mentre lo portavano via. Ho aspettato. Ho sperato fino all’ultimo che reagisse. Che si rivelasse. Che spezzasse le catene come Mosè, che facesse tremare i potenti come Elia.
Ma lui ha scelto di morire.
E io sono rimasto con le mani vuote.
Dicono che mi sono impiccato. Dicono che mi sono pentito. Forse. Forse no. Forse sono ancora qui, sospeso tra il prima e il dopo, come un fico secco che non cade mai dall’albero. Condannato a non avere risposte. Condannato a chiedermi, ancora e ancora:
E se avessi aspettato? E se non avessi fatto nulla? E se il vero traditore non fossi stato io, ma chi lo ha lasciato morire senza muovere un dito?
(Una pausa. Sguardo fisso, duro, scuro)
Dimmi… chi è il vero traditore?
Perché questa storia importa ancora oggi?
Questo monologo non vuole assolvere Giuda. Non vuole riscrivere la storia. Ma vuole costringere a guardare da un’altra prospettiva. A mettere in dubbio quello che crediamo di sapere.
Quante volte nella vita ci siamo sentiti traditori per aver preso decisioni sbagliate, pensando di fare la cosa giusta? Quante volte abbiamo cercato di forzare il destino, solo per scoprire che ci stava già portando dove dovevamo essere? Quante volte la storia ha cambiato i ruoli tra buoni e cattivi solo perché chi raccontava aveva il potere di farlo?
Forse la vera condanna di Giuda non è stata il tradimento, ma il non aver avuto il coraggio di aspettare.
E tu, cosa ne pensi?
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Chi è per te il vero traditore?
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