Sono stato al Generation Film Fest per le tre sere, dall’otto al dieci luglio 2021, nelle quali si è svolta la prima edizione di una manifestazione che non solo merita di essere ripetuta negli anni ma che ha aperto una serie di necessità e possibilità. Sono iscritte nello stesso concept dell’evento pensato da Nadia Carbone: in quel passaggio generazionale che dà il titolo al tentativo del cinema di raccontare le generazioni. E questo è stato fatto dai primi registi e dal primo sceneggiatore invitati raccontare una pellicola a testa che è stata realizzata con le mani loro e dei collaboratori, per lo più giovani, con cui hanno lavorato. Quindi qui ora credo valga la pena raccontare qualcosina per i tanti che c’erano e per coloro che adesso inizieranno ad incuriosirsi.
E mi piace partire dal contesto, da quella Oria nella quale si respirano atmosfere di tante storie, dove molteplici sono gli angoli per inquadrature intriganti, che hanno il sapore di un cinema che racconta. Lo sa bene Sergio Rubini (mio scopritore in L’amore ritorna del 2004), per esempio, che nel suo centro storico voleva girare l’intero film La terra. Poi per altre questioni andò a Mesagne ma alcune scene furono comunque girate ad Oria. Lo sa bene un altro cineasta in grande ascesa negli ultimi anni come Alessandro Zizzo (che mi volle in un suo corto e con il quale presto tornerò sul set) che più volte è venuto a girare qui. Inoltre la prima metamorfosi di Toni Sperandeo (con cui ho lavorato ne La Nuova Squadra) da mafioso a commissario avvenne prima che lavorasse ne La squadra nel film Un giudice di rispetto che fu quasi interamente girato ad Oria. Completano quest’elenco di pellicole oritane il film Seven Little Killers (ex Eppideis) e, incredibile a dirsi, l’horror hollywoodiano Spring.
Doveva accadere che ci fosse quindi un festival del cinema con un taglio specifico, un target ben selezionato, ricco di senso. In esso prima di ogni proiezione c’è stato un talk ed è di alcuni contenuti emersi durante le ottime interviste di Vincenzo Sparviero che voglio parlare. Allora nella mia memoria resteranno le parole di Jerry Calà quando ha detto che un suo maestro è stato quel Bud Spencer con cui ha lavorato nel 1982 in Bomber e che sul set gli trasmise “i trucchi del mestiere”. Non dimenticherò l’invito di Alessio Liguori a guardare al cinema americano, a impararne la lezione nel narrare grandi sogni e di professionalità su tutti i campi, giudizio peraltro condiviso dal regista dell’ultima sera, Matteo Vicino. Di quest’ultimo mi ha colpito molto il fatto che sia passato a dirigere film per contrastare gli incidenti stradali.
Ma c’è una storia che a me da bambino mi ha incantato e continua ad incantarmi ed è quella della nascita alla fine degli anni sessanta del Corteo Storico e del Torneo di Federico II, oggi noto come Palio di Oria. Le giostre con gli stuntmen che venivano da Roma, le chiarine che suonavano come nei colossal di Cinecittà mi hanno fatto sempre sognare il cinema e spesso penso, per questo, a quel Gino Capone, ospite anche lui del festival, che ideò la prima giostra.
Ma quali sono le necessità e le possibilità di cui parlavo all’inizio di questo post? Non è solo questione di altre edizioni che a questo punto sarebbe davvero un peccato non organizzare. Ora occorre mettere l’attenzione su altri momenti e altre occasioni con le quali favorire la settima arte in un luogo che può esserne protagonista come Oria e i suoi dintorni. Penso a laboratori, corsi, corti e tutta una serie di idee e micro-eventi con i quali nutrire quell’appetito di cinema che inizia a sentirsi sempre di più. Bene hanno fatto l’assessore Lucia Iaia e il sindaco Maria Lucia Carone a lavorare caparbiamente al festival. Le invito a mantenere questa linea di testardaggine e di lungimiranza.
Bravo, ottime idee, il ‘materiale’ c’è, basta saperlo usare e utilizzare all’occorrenza, senza colori di parte.
Grazie Tonino!