Le tre dimensioni di una produzione artistica

Foto di Pixabay

Qualsiasi produzione culturale è bene che abbia tre dimensioni per essere completa e condivisa. Esse sono: gli scambi che essa genera, il piacere o divertimento o diletto di chi la genera e la interpreta e l’occupazione di tutte le figure che vi lavorano. Se ben calibrate permettono il successo e la piena soddisfazione economica. Esaminiamole tutt’e tre.

Il primo termine è dunque “scambi”. Qualsiasi opera se di un certo livello si basa su di essi. Sempre un autore elabora, per esempio, una cultura, dei temi, una visione precedente alla sua e apporta qualcosa che mancava o a cui in precedenza di dava poca importanza. Nel farlo è come se dialogasse con la comunità di chi ne usufruisce: lettori, spettatori, ecc. A volte c’è un vero e proprio traffico di informazioni, notizie, storie di un territorio con lo sceneggiatore di un film o di una serie tv ad esempio. Si tratta di un dare ed avere che tanto più è efficace quanto più si presta orecchio ad un dialogo aperto, sincero, autentico. È come produrre vino: abbiamo bisogno di buoni vigneti, di un buon terreno, ecc. Proprio ieri parlavo della dimensione biologica della cultura. Un territorio, tra l’altro, più lo ascolti e più aiuti a risolverne i problemi e a farlo crescere. E anche dai più biechi fatti di cronaca può nascere qualcosa di bello.

La seconda parola è “piacere”. E qui vorrei fare una domanda: perché andiamo al cinema o vediamo un film? Perché assistiamo a uno spettacolo teatrale? E una risposta tra le tante e forse tra le migliori è per vedere accadere ciò che nella realtà non succede: Chuck Noland che riesce a sopravvivere in Cast Away su di un’isola deserta e a tornare alla civiltà; Vivian Ward, una prostituta, che riesce ad avere una gran bella storia d’amore con Edward Lewis in Pretty Woman; un pugile che non riesce a sfondare e che viene quasi cacciato dal suo allenatore che si trova a incrociare i guantoni con il campione del mondo in Rocky I. Insomma è il diletto di ciò che non riusciamo a vivere soprattutto se l’eroe è come noi, popolare, sfigato.

La terza componente è l’occupazione. In due sensi: quella del lettore che per un certo tempo legge un romanzo o una saga, ad esempio, e quella di chi scrive, produce e distribuisce l’opera. Anche se a ben vedere spesso quella dell’artista non viene visto come un lavoro o quantomeno viene considerato poco stabile, oppure invidiato ed osteggiato, almeno fino a quando non conosce un successo clamoroso. Produrre arte è un lavoro a tutti gli effetti e più lo si fa in modo professionale, costante e con le motivazioni giuste e più diventa produttivo. Sempre più possiamo immaginare scrittori, attori, registi, cantanti, ecc. È ora di togliere tutti i pregiudizi del passato su queste professioni. Per imparare a farlo puoi leggere la mia Lettera a un amico artista.

Cosa pensi tu rispetto a “scambi”, “piacere” e “occupazione”? Scrivilo nei commenti, grazie.

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