Storia di un’etichetta e di un riscatto

Ti hanno mai detto chi sei, prima ancora che tu lo decidessi? Certe parole pesano come macigni. A volte ti vengono appiccicate addosso fin da piccolo e diventano il marchio con cui il mondo ti riconosce. A scuola, per esempio, i bambini vengono divisi in “bravi” e “cattivi”. Quelli che fanno i compiti, che stanno seduti composti, che rispondono bene alle domande sono “i bravi”. Gli altri, quelli che non stanno mai fermi, che si distraggono, che rispondono male, diventano “i problematici”, “i discoli”, “quelli che non andranno da nessuna parte”. E più le senti, più cominci a crederci. Questa è la storia di un uomo che ha vissuto sotto un’etichetta per anni, fino a quando qualcosa è cambiato. Una storia ispirata alla liturgia di oggi, domenica 2 marzo 2025, che parla di identità, giudizio e trasformazione.

La liturgia della domenica 2 marzo 2025

La storia che stai per leggere è ispirata alla liturgia di oggi. Le letture della messa ci parlano di come le parole e le azioni rivelano chi siamo veramente. La Prima Lettura, tratta dal Siracide (Sir 27,5-8), ci dice che come il setaccio separa i rifiuti dalla farina, così le prove della vita mostrano chi siamo davvero. Il Vangelo secondo Luca (Lc 6,39-45) riprende l’immagine dell’albero e dei suoi frutti: un albero buono non può dare frutti cattivi, e viceversa.

Questa storia parla di Michele, un uomo che si è sempre sentito marchiato da un’etichetta, che ha sempre creduto di essere il ‘frutto cattivo’. Ma è davvero così?

Chi è Michele?

Michele ha più di 50 anni. La vita non è stata gentile con lui. È cresciuto sentendosi un peso, uno che ‘non andrà mai da nessuna parte’. A scuola lo etichettavano come un disastro, a casa lo guardavano con rassegnazione. Ha fatto qualche sbaglio, e adesso sta scontando il suo debito con la giustizia lavorando in una cooperativa, assegnato lì dal giudice.

Lavora di notte, scarica camion. La fatica gli spacca la schiena, ma almeno non deve pensare troppo. Parla poco, osserva molto. Sa che per il mondo lui è già stato giudicato: è un fallito, punto e basta.

Ma poi arriva quella mattina.

Un destino già scritto?

Te l’hanno mai detto che sei nato storto? Che sei guasto? Che non vali niente?

A me sì. E quando te lo ripetono per anni, alla fine ci credi pure tu.

Stamattina ho finito il turno di notte alla cooperativa a cui mi ha assegnato il giudice. E mi sono infilato nella cappella dell’istituto. Di solito non ci vado mai, ma la porta era aperta e mi sono seduto. Davanti a me c’era un foglietto.

Le parole che cambiano tutto

C’era scritto:

Quando scuoti un setaccio, restano sopra i rifiuti. Così, quando un uomo parla, si capisce chi è.

Io non parlo quasi mai. Ma quando apro bocca, la gente ha già deciso chi sono. Non serve che dica niente.

Mia madre diceva che ero nato per finire male. Gli insegnanti pure. I compagni anche. E io? Ho finito per crederci.

Poi sotto c’era scritto:

Ogni albero si riconosce dal suo frutto.

E allora mi chiedo: e se il frutto fa schifo? Se sono cresciuto storto, di chi è la colpa? Mia? O di chi mi ha piantato nella terra sbagliata?

Dove nasce il cambiamento

Poi c’è un’altra frase che mi è rimasta in testa.

La bocca esprime quello che dal cuore sovrabbonda.

Cos’è che sovrabbonda, allora, nel mio cuore?

Perché se dentro c’ho solo rabbia, veleno, rancore, che cosa vuoi che esca da me?

Forse non è che sono guasto. Forse ho solo riempito il cuore della roba sbagliata.

Non è mai troppo tardi per cambiare

Mo’ non so perché ho parlato. Forse per sfogo. Forse per caso.

O forse no.

E se fosse stato un segno? E se quel foglietto fosse arrivato davanti a me proprio perché era ora di cambiare qualcosa? Non si cambia tutto in un giorno, ma forse il primo passo è accorgersi di cosa ci portiamo dentro.

Forse il mio cuore ha ancora spazio per qualcosa di buono.

E tu?

L’Etichetta che ti danno può diventare la tua gabbia.

Ti hanno mai detto chi sei, prima ancora che tu lo decidessi? Hai mai vissuto con un nome addosso che non ti apparteneva?

Dimmi nei commenti: qual è la parola che ti hanno appiccicato e che non se n’è più andata? Se vuoi puoi guardare questo monologo su TikTok.

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