Tra gli eroi d’infanzia avuti in dote c’è Tarzan, di cui oggi si celebra la giornata a lui dedicata. E spulciando qualcosa su di lui mi sono accorto di una cosa che non sapevo: l’autore dei suoi romanzi, Edgar Rice Burroughs, prese ispirazione da Romolo e Remo: i due mitologici gemelli figli di Rea Silvia, discendente di Enea, e di Marte che sono all’origine della fondazione di Roma, che furono abbandonati alla corrente del fiume Aniene e allattati da una lupa.
A differenza di Sandokan, altro personaggio di trasposizioni cinematografiche e di fumetti, non ho mai letto alcun romanzo su Tarzan e non so se mai lo farò, per ora. Per me resta una figura televisiva vista soprattutto in serie tv e film tra gli anni ’70 e ’80. Oppure relativa alla parodia che ne fece Totò in Totò-Tarzan. Rappresenta il mito del buon selvaggio che si scontra con le contraddizioni della civiltà che è tanto raffinata quanto ipocrita, indurita nei valori e che soprattutto ha dimenticato il rapporto con la natura.
Non ho mai visto la versione targata Disney sia perché l’animazione quando è arrivata per me era tardiva visto che non ero in target come età e poi sono un po’ diffidente quando questa major americana cannibalizza tante storie. La serie a cui resto affezionato è quella del 1966 con Ron Ely, anche se io l’ho vista più di dieci anni dopo la prima messa in onda negli Stati Uniti. Ero bambino e quegli animali li vedevo sia alla tv sia nello zoo del santuario in cui vivevo, a pochi metri da casa mia. Una storia che racconto ne Il Leone di San Cosimo, un testo che è nato facendo riaffiorare quei ricordi e che ora si è arricchito delle canzoni di Paolo Carone.